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L’universo a 5 stelline

Aggiornamento: 25 feb 2020

Nel mondo dei social, essere a-social come me non è conveniente. Soprattutto, se si vuole campare con questo lavoro che porta via più delle classiche otto ore al giorno e una dose di stress equiparabile solo a quella di un chirurgo di trincea. Anzi, almeno in quel caso, il dottore forse non vive la perenne angoscia che la sua performance possa essere valutata con una malefica gradazione in stelline.  Come funzionerebbe in quel caso? Paziente morto: 1 stellina, Paziente  vivo ma con cicatrici:  da 2 a 3 stelline, Paziente vivo e vegeto: da 4 a 5. Per ovvie ragione le votazioni da 1 stellina non ci sarebbero (chi passa al di là avrebbe un po’ di difficoltà a dare un punteggio!), e già in questo il medico è avvantaggiato rispetto a un autore… Certo, però, ripensandoci meglio, ci sarebbero i perenti a poter esprimere il voto e quindi la situazione tornerebbe al punto di partenza. Ok, allora lo ammetto: un medico è sottoposto a una dose di stress maggiore della mia. Inoltre, girovagando in Rete, mi sono appena accorta che c’è un sito per votare i camici bianchi, una sorta di Trip Advisor per prestazioni mediche. Ed io che pensavo di esagerare! Devo avvisare mia sorella: da oggi in poi dovrà raccomandare ai suoi pazienti non solo di ricordarsi di prendere le giuste medicine, ma anche di assegnarle le fatidiche 5 stelline.

Eh già, perché ormai, nell’era del digitale, i like, le stelline, i pollici in su, i cuoricini e chi più ne ha più ne metta sono diventati la nuova moneta di scambio. Per molti, moltissimi lavori ormai i commenti sono diventati vitali: dal bar sotto casa alla parrucchiera di periferia, dall’hotel di lusso al tassista di Uber, dagli autori ai sopracitati dottori.  Le stelline sono i nuovi stipendi, e non è un modo di dire. Buone votazioni invogliano altri clienti a fidarsi, a fare la stessa esperienza e quindi a contribuire all’economia che gira.

Probabilmente non sto dicendo nulla di nuovo, niente che professoroni di economia o esperti in comunicazione non abbiano già studiato: le comunità social nascono come funghi e io stessa vivo di questo, per cui lungi da me lamentarmi. Sarebbe ipocrita. Eppure, forse proprio per la mia natura schiva e asociale che mi ha lasciata fuori dal grande giro come un outsider, riesco a vedere meglio i confini pazzeschi che tutto questo meccanismo sta valicando.



Ecco, il mio “pensiero profondo” sul destino dell’universo a 5 stelline è espresso magistralmente nel primo episodio della terza stagione di Black Mirror, la serie antologica critica verso l’abuso delle nuove tecnologie. Nosedive, questo è il titolo della puntata che vi consiglio di vedere. Lacie, interpretata da una divina Bryce Dallas Howard è un membro sempre sorridente della comunità in cui vive, una comunità perfetta di gente vestita con colori pastello, di miti temperature e di ampi parchi verdi. In questa visione del futuro perfetto il modo di rapportarsi  fra le persone è civile, cordiale, patinato poiché ogni azione è soggetta alla valutazione social da parte degli altri: Lacie prende un cappuccino e sorride contenta al barista con cui si scambia immediatamente 5 stelline, fotografa la tazza e il biscottino dall’aria invitante e riceve immediatamente una serie di votazioni massime che la riempiono di gioia. Poi chi se ne frega se quando assaggia il cappuccio, le fa schifo.

Lacie è ossessionata dal suo punteggio social: la casa, il lavoro, la sua stessa vita dipendono da quelle stelline che deve far aumentare. Il suo 4,2 di media non basta: deve arrivare a 4,6 per raggiungere quella che crede sia la felicità, quella felicità così leziosa mostrata sui social. Il suo è un percorso a ostacoli, una scalata metaforicamente rappresentata dal matrimonio della sua ovviamente bellissima e votatissima ex migliore amica.   Niente è reale eppure nell’esasperazione del leitmotiv della trama è così facile riconoscersi e lasciarsi attanagliare da quel senso di inquietudine che accompagna Lacie. Una visione esagerata ma così spaventosamente possibilistica, anche senza bisogno di proiettarci troppo avanti nel tempo.  Una volta eravamo figli delle stelle, oggi siamo schiavi delle stelline.

 
 
 

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Natalia  Rosetti

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