Femminista per forza di cose?
- Natalia Rosetti
- 9 mag 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 16 mag 2019
Non sono una sociologa, né un filosofo, né Barbara d’Urso: l’unica qualifica che ho per dare una risposta a questo quesito è la mia vagina, quella e il mio bagaglio di vita.
Come quasi tutti, ho avuto anch’io il mio bel carico di difficoltà regalatomi dalla vita alla nascita: famiglia particolare, la mia, eppure mi sono convinta di essere venuta su forte e indipendente. Addirittura, quando ho una giornata positiva sul lavoro lodo la mia intelligenza e quando ne ho una pessima mi sprono convinta di poter migliorare.
E partiamo da qui. Dal lavoro, la grande presunta conquista delle donne. Presunta perché in realtà è dall’alba dei tempi che noi ci facciamo il culo nelle più svariate mansioni, ma è anche vero che i ruoli di prestigio o quelli più remunerativi è relativamente da poco che sono diventati di nostro appannaggio (o così dovrebbe essere).
Per quanto mi riguarda, guadagno (poco… e questo potrebbe essere un bello spunto per un nuovo post!) quanto i miei colleghi maschi. Magra consolazione visto che né io né loro siamo mai diventati ricchi, ma mi è sempre piaciuto pensare che a fare la differenza fossero le capacità e non gli attributi sessuali. Pensateci: in qualunque settore lavorativo, noi donne ci siamo, anzi predominiamo. E non parlo solo dei posti da megadirigenti che occupiamo (anche se, in quel caso, con meno frequenza di quanto meriteremmo), ma parlo della vita normale: insegnanti, giudici, avvocati, architetti, stilisti, politici, commesse, autiste di bus e taxi, benzinaie, dottoresse, infermiere, macellaie, informatici… Ammettiamolo, siamo ovunque e spesso, concedetemelo, siamo anche brave. Effettivamente, se ci riflettete un momento, questa storia dell’emancipazione femminile alla fine ci si potrebbe pure ritorcere contro: lavoriamo come gli uomini, siamo spronate dalla società a far carriera ma poi torniamo a casa e, volente o nolente, siamo ancora noi a dirigere l’orchestra. Eh sì, perché nonostante le nostre imposizioni, nonostante i nostri proclami e le litigate con i nostri mariti, alla fine dei giochi, siamo noi a fare la benedetta lista della spesa, siamo noi a badare alla prole, a decidere cosa mangiare per cena o persino a ordinare dal cinese il cibo da asporto. Certo, le sfuriate non mancano e magari i nostri uomini ogni tanto si degnano anche di alzare un dito per collaborare alle pulizie o per sfamare le boccucce innocenti dei loro figli, ma nel tempo che impiegano per passare l’aspirapolvere, noi abbiamo organizzato la nostra e la loro vita da qui ai prossimi tre anni. E tutto questo perché? Semplicemente perché siamo abituate da millenni ad andare in multitasking! Bella fregatura!
Ma, allora, se il mondo è davvero così a portata di mano, vuol dire che non esistono più discriminazioni? Vorrei dire di no ma, realisticamente parlando, purtroppo, le discriminazioni esistono eccome e appaiono evidenti nel momento in cui ogni nostra azione viene sindacata dagli altri, e in primis dalle altre donne, come una caratteristica del nostro genere. Siamo sincere: chi di noi non ha criticato l’altra, la nemica, la rivale, la collega, e persino l’amica per come si veste, per come si atteggia, per come parla, per come cammina, per quello che dice, per quello che fa con gli uomini… Prendiamo una donna in politica che non ci piace. La prima accusa è che occupa quel ruolo perché “l’ha data”. Nessuno degli avversari considera che potrebbe essere lì per una semplice mazzetta, come accade per gli uomini in colletto bianco. La donna di potere che non ci piace è lì perché si è sottomessa sessualmente a un uomo più importante di lei. Non vedete il sessismo? Non sarebbe più paritaria una bella accusa di corruzione?
Ok, so che il seguente esempio è piuttosto frequente ma è davvero emblematico: perché non esiste una parola equivalente a puttana per indicare un uomo? E perché noi siamo le prime a usarla l’una contro l’altra? Non dico che dobbiamo andare tutte d’accordo, siamo esseri umani, ma se una donna merita il mio disprezzo, non posso chiamarla semplicemente stronza? Cosa c’entra il numero di uomini (effettivi o presunti) con cui va a letto? E se l’uomo con cui va è il mio, non cambia: è lui il bastardo, forse anche lei, se si professava mia amica, quindi tutt'al più lo sono entrambi. Eppure noi ce la prendiamo con lei, è lei la puttana.
Le Femministe hanno combattuto per noi perché davvero nel mondo c’è stata e c’è ancora una terribile cultura della sottomissione della donna: e non parlo solo di religioni che ci appaiono barbariche, ma del fatto che nella civile Italia fino al 1981 il delitto d’onore era nel nostro ordinamento giuridico. Si giustificava il padre/marito/fratello che uccideva la donna che lo aveva disonorato. La vittima disonorava il suo carnefice. Una legge che si basava sul banale concetto di proprietà. Il padre o il marito avevano diritti sul proprio bene e potevano disporne come volevano se questo, ai loro occhi, sbagliava. E il femminicidio è la diretta conseguenza di quel modo di pensare, di quel modo di autoassolversi. Questa parola che in molti contestano, che lo stesso word mi segnala come errata, rivela come ci sia effettivamente ancora bisogno del femminismo, purtroppo. Quel femminismo che insegna che tutti gli essere umani sono uguali e hanno pari dignità, a prescindere dal sesso (e qui si potrebbe ampliare il campo ma… ehi, lasciamoci argomenti per i prossimi post! ).
Le donne, anche se hanno le occasioni di emergere, sono ancora vittime di pregiudizi e preconcetti che, come già detto, noi per prime ci imponiamo. A me piace il rosa, adoro lo shopping, impazzisco per i trucchi e scrivo storie d’amore. Sono una femminuccia? Eppure amo i videogame, ho una passione per la scienza, bevo birra e leggo principalmente fantascienza. Sono un maschiaccio, allora? Come la mettiamo? Femminuccia o maschiaccio? Perché dobbiamo per forza attribuire delle stupide etichette? Perché una donna non può avere l'armadio pieno di scarpe e, allo stesso tempo, essere una videogiocatrice incallita? Come molte donne, io sono tutto questo e anche di più. Insomma, sono una donna, uguale alle altre, diversa dalle altre. Per questo non c’è bisogno di un’etichetta. O meglio non ci dovrebbe essere bisogno. Perché io non vorrei essere femminista, eppure lo sono.

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